60° anniversario della morte di Papa Giovanni, le parole del nostro rettore don Claudio

Ci avviciniamo a questo anniversario consapevoli che il tempo inaugurato da Giovanni XXIII è un tempo di grazia, un tempo di speranza, un tempo di nuova semina, in cui lo Spirito non mancherà di assisterci e di guidarci.

È con tanta emozione che ci accingiamo a raggiungere Roma per questo anniversario della morte di Papa Giovanni, il sessantesimo. Saremo in tanti, da Sotto il Monte e non solo, 1000 circa, a celebrare sabato 3 giugno nella Basilica di San Pietro la messa accanto alle spoglie del nostro illustre santo, insieme al gruppo di Concesio, paese natale di san Paolo VI. Sotto il Monte si svuota quest’anno per l’anniversario della morte di Papa Giovanni e si trasferisce a Roma; e siamo contenti di fare così quest’anno, perché Papa Francesco ci incontrerà e ci rivolgerà la sua paterna parola e ci darà la sua benedizione, che vogliamo estendere anche a chi rimane a casa, a tutti i devoti di Papa Giovanni e di Paolo VI e a tutti coloro che si sono raccomandati alle preghiere del nostro pellegrinaggio. Ascolto l’entusiasmo dell’attesa di tanta gente che in questi giorni passa da Sotto il Monte per gli ultimi dettagli del viaggio: c’è gioia, per incontrare papa Francesco, per venerare Papa Giovanni e Papa Paolo, ma anche per vivere un’esperienza di fraternità e di Chiesa. La gioia anche di condividere tutto questo con i fratelli bresciani, con i quali - in questi ultimi anni - si è condiviso molto, aumentando l’affetto e la stima reciproci: cosa che - sono convinto - farà piacere anche ai nostri due papi santi, considerata la loro reciproca amicizia.

Leggo in questi giorni alcuni articoli, discorsi, racconti dei giorni dell’agonia e della morte di Papa Giovanni, e mi commuovo nel riscontrare tantissimo affetto ed enorme considerazione. Non sono parole di circostanza per la morte di un pontefice, c’è dell’altro, c’è molto di più. Dai grandi della terra ai più umili è un’unanime affermazione di stima e un entusiastico tributo di affetto. Li sintetizzava molto bene questi sentimenti San Giovanni Paolo II nell’omelia per la beatificazione di Papa Giovanni, il 3 settembre 2000: “Le persone sono rimaste conquistate dalla semplicità del suo animo, congiunta ad un’ampia esperienza di uomini e di cose. La ventata di novità da lui portata non riguardava certamente la dottrina, ma piuttosto il modo di esporla; nuovo era lo stile nel parlare e nell’agire, nuova la carica di simpatia con cui egli avvicinava le persone comuni e i potenti della terra”. Fanno eco a queste parole cariche di significato quelle di un grande testimone della fede, l’arcivescovo ucraino Joseph Slipyj, liberato da una lunga e ingiusta carcerazione in Unione Sovietica proprio per intervento di Papa Giovanni: “Vostra santità, nel tempo relativamente breve, ha saputo guadagnarsi con la paterna bontà la fiducia non soltanto dei popoli della Chiesa Cattolica, ma anche dei fedeli di tutte le altre confessioni religiose, anzi di tutti gli uomini di buona volontà e persino dei nemici dichiarati di Gesù Cristo e della Chiesa” (28 maggio 1963).

Tutti i giornalisti, che in questi giorni mi chiedono una testimonianza o un pensiero su Papa Giovanni, terminano la loro intervista con questa domanda: “Qual è l’eredità spirituale di Giovanni XXIII?” Non posso evidentemente non citare la forza del Concilio Vaticano II, fortemente voluto e inaugurato da lui, o la centralità del crocifisso e la bussola del Vangelo o l’invito alla bontà; tuttavia mi pare siano una buona sintesi le parole del grande sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, alcuni giorno dopo la morte del Papa: “Giovanni XXIII si è spento come gli antichi patriarchi benedicendo tutta la famiglia umana, tutti i popoli della terra e avendo fino all’ultimo nel suo cuore e nella sua mente i due ideali che caratterizzarono il suo Pontificato: l’unità della Chiesa e la pace nel mondo. Egli ha aperto alla storia della Chiesa e dei popoli strade che non saranno mai chiuse e sulle quali avanzeranno i secoli e le generazioni”. Lo diceva il suo successore, Giovanni Battista Montini, poi Paolo VI, nel discorso in Duomo ai milanesi, per la morte di Papa Giovanni, concludendo così la sua commemorazione di Giovanni XXIII: “Potremo mai lasciare le strade così magistralmente tracciate, anche per l’avvenire, da Papa Giovanni? È da credere che no! E sarà questa fedeltà ai grandi canoni del Suo Pontificato ciò che ne perpetuerà la memoria e la gloria, e ciò che ce lo farà sentire ancora a noi paterno e vicino” (Giovanni Battista Montini, 7 giugno 1963).

Ci avviciniamo all’anniversario della morte di Papa Giovanni con gli stessi sentimenti di questi uomini illustri, consapevoli che il tempo inaugurato da Giovanni XXIII è un tempo di grazia, un tempo di speranza, un tempo di nuova semina, in cui lo Spirito non mancherà di assisterci e di guidarci, sapendo che “i misteriosi piani della Divina Provvidenza si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa” (Solenne apertura del Concilio Vaticano II, 11 ottobre 1962).

Don Claudio

linkcrosschevron-downarrow-right