Apri il tuo cuore e lascia entrare la luce della risurrezione

Ho letto che la Pasqua, per gli ebrei, era una festa di famiglia; le prescrizioni che regolavano questa festa dicevano che se l’agnello fosse stato troppo grosso per una sola famiglia, allora potevano riunirsi più famiglie insieme, e consumare lo stesso agnello. Anche Gesù vive la Pasqua con la sua famiglia, non quella naturale, ma quella dei suoi discepoli. Gesù inaugura un altro modo di essere famiglia, quello degli amici, che, nel suo caso, sono poi i discepoli. Così, da quell’ultima cena consumata con i Dodici e altri suoi discepoli, Gesù ha inaugurato una nuova famiglia, quella della Chiesa. La Chiesa è una famiglia, un contesto di bene, di fraternità, un posto dove ogni membro si trova bene e si sente custodito. Questa era la famiglia per gli ebrei, e dunque anche per Gesù; questa è la Chiesa per Gesù, e dunque anche per noi. Non vale allora il detto: “Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi”; per noi cristiani la Pasqua è una festa di famiglia, è il cuore del nostro essere discepoli del Signore, e dunque, ovunque si celebri, in qualsiasi parte del mondo, nessuno è estraneo, ognuno si sente fratello, perché appartenente alla famiglia di Gesù. Non celebriamo mai la Pasqua da soli, come non si celebra mai l’Eucarestia da soli, anche se si è soli: la celebriamo insieme a tutti gli altri, la celebriamo uniti a tutta quanta la Chiesa in terra e in cielo, la celebriamo sentendoci particolarmente vicini a coloro che soffrono, ai nostri fratelli perseguitati per la fede, a chi sta vivendo un dramma.

Pasqua è festa di famiglia, e se qualcuno in famiglia soffre, allora è nostro dovere sentire maggiormente il suo dolore. Il sepolcro di molti fratelli e sorelle, infatti, non è stato ancora illuminato dalla luce della risurrezione: quanti uomini, e quante donne soffrono per il peso del grosso masso che preme sul loro cuore; a tutti questi nostri fratelli e sorelle auguriamo - e preghiamo - che sia levata presto la pietra che angoscia la loro vita. E non pensiamo subito ai fratelli che vivono in zone di guerra o dove i principali diritti umani sono calpestati, o dove si è perseguitati per il credo religioso; penso anche a tante persone dei nostri paesi e delle nostre città che sono alienate da questo stile di vita che non rispetta l’uomo, che banalizza le fatiche, che emargina i deboli e i poveri. Cristo abita dentro queste povertà, Cristo risorge dentro queste zone d’ombra che generano ansia, preoccupazione e talvolta disperazione; risorge ciò che è morto, non ciò che è già vivo. La resurrezione è un passaggio dalla morte alla vita, e dunque chi non si accorge di essere morto (anche per il proprio peccato) non farà Pasqua, perché non sperimenterà la luce della risurrezione. Al figlio maggiore che lo interpellava con acredine per aver riaccolto il figlio che se ne era andato di casa dilapidando l’eredità, il padre della nota parabola del vangelo di Luca risponde: “Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita”. Occorre essere morti per risorgere, serve dare un nome alle proprie morti interiori perché esse siano il luogo della resurrezione.

Coraggio dunque, facciamo Pasqua: non fuggiamo inutilmente dai nostri sepolcri, riconosciamoli ed esponiamoli all’amore di Cristo, perché sia la sua luce a illuminarli, il suo amore a rianimare i nostri spiriti affranti. E, come le donne il mattino di Pasqua, annunciamo a chi ancora è nel buio, che quel buio è abitato dal Cristo risorto; “Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati” (Mt 5, 3). A chi è nel pianto diciamo: apri il tuo cuore e lascia entrare la luce della risurrezione, perché il Signore risorge proprio dentro di te.

Carissimi, la pace di Cristo risorto abiti nei vostri cuori e ci accompagni sempre la carezza amorevole e paterna di Papa Giovanni.

Buona Pasqua!
Don Claudio

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