La carezza di Francesco a Sotto il Monte

Sotto il Monte piange un Papa e saluta un padre.
La scomparsa di Papa Francesco, annunciata ieri mattina, ha toccato profondamente la nostra comunità. Non solo perché siamo parte della grande famiglia della Chiesa. Non solo perché, figli della terra di Giovanni XXIII, conosciamo la commozione che accompagna l’addio a un Papa. Ma soprattutto perché con lui abbiamo condiviso un momento di grazia che porteremo nel cuore per sempre.
Era il 3 giugno 2023, una data che non sarà mai solo una ricorrenza.
Insieme agli amici di Concesio, la terra di Paolo VI, scendemmo a Roma per rendere omaggio a due grandi santi, due Papi nati dalle nostre radici, nel sessantesimo anniversario della morte di Giovanni XXIII e dell’elezione di Paolo VI.
Era l’anno in cui Bergamo e Brescia, unite come Capitale Italiana della Cultura, celebravano due volti diversi della stessa fede, due uomini di Dio che hanno segnato la storia del Novecento con il Vangelo della pace e del dialogo.
Partimmo con un desiderio semplice e profondo: ringraziare, pregare, ricordare.
Alle 10:00 di quel sabato di luce, la processione dei pellegrini entrò nella Basilica di San Pietro, diretta all’altare della Cattedra. Lì ci attendevano il Cardinale Giovanni Battista Re, Mons. Francesco Beschi, vescovo di Bergamo, e Mons. Pierantonio Tremolada, vescovo di Brescia.
Ma nessuno poteva immaginare quello che sarebbe accaduto.
All’improvviso, le guardie svizzere si avvicinarono all’altare. Papa Francesco era venuto da noi. Silenzioso, discreto, come un padre che non vuole farsi notare, ma desidera solo abbracciare i suoi figli.
Un respiro trattenuto, poi un applauso: il battito collettivo di mille cuori.
«È venuto da noi!», si mormorava tra i banchi. E gli occhi lucidi degli anziani si specchiavano in quelli dei giovani, in un passaggio di memoria e stupore.

Con parole semplici – come solo i grandi sanno fare – ci lasciò un messaggio che oggi risuona più forte che mai:
«Fate sempre tesoro delle vostre radici – non come un blasone da difendere, ma come una ricchezza da condividere. La terra si lavora insieme, in pace: con l’egoismo e la guerra la si devasta soltanto.»
Fu un richiamo a Giovanni XXIII, il “Papa della Pace”, il contadino di Dio che da Sotto il Monte seppe parlare al mondo. Fu anche l’invito di Francesco a non dimenticare chi siamo, da dove veniamo, e il valore delle nostre origini: quelle zolle che, nella loro umiltà, sanno generare profeti.
Ecco perché ci esortò a rileggere la Pacem in Terris come si apre un album di famiglia: per riconoscere nei suoi insegnamenti i volti e i sogni di una civiltà contadina divenuta lievito di giustizia, pace e libertà.

Durante l’Udienza ci affidò un’altra verità:
«Amate le vostre radici, ma ricordatevi che l’albero cresce solo se resta innestato nella terra di tutti.»
Un gesto profondamente simbolico fu la benedizione della Luce della Pace, la lampada che oggi arde – con più significato che mai – nel Giardino della Pace di Sotto il Monte, davanti alla statua di San Giovanni XXIII. Con quel gesto abbiamo voluto rispondere a uno dei desideri più profondi di Francesco: che da ogni terra germoglino semi di pace, di fraternità, di dialogo. Da quel giardino – che è promessa e preghiera – ci impegniamo a continuare il cammino di riconciliazione, come fece Angelo Roncalli, come ci ha chiesto il suo successore.
Vogliamo essere anche noi uomini e donne di pace, artigiani di fraternità, costruttori di legami.

Oggi, mentre il mondo intero si raccoglie in silenzio attorno alla tomba del Papa, Sotto il Monte prega.
Nella casa di Roncalli, tra le pietre del Santuario e il verde del Giardino, tra i passi lenti dei pellegrini, si respira un dolore composto, impastato di gratitudine.
Si ricorda l’umiltà di Francesco – il Papa che si faceva da parte perché le periferie andassero al centro – e si sorride ripensando allo stupore di quel 3 giugno sotto la cupola di Michelangelo.
Francesco e Giovanni XXIII.
Due Papi, un’unica eredità: una Chiesa che abbatte muri, accorcia le distanze, dialoga con la cultura e con la politica, e propone la pace come metodo, non solo come auspicio.
Nel buio di ogni lutto, la luce di quel giorno resta un faro.
Ci ricorda che la storia non è una pietra tombale, ma un seme da coltivare.
E che tocca a noi farlo germogliare, perché da Sotto il Monte possano nascere ancora artigiani di pace, capaci di coniugare Vangelo e cultura, fede e intelligenza, come fece il nostro Papa Giovanni. E come ci ha chiesto Francesco.
Mentre il mondo attende un nuovo Pontefice, noi – che abbiamo ricevuto la carezza dell’ultimo – raccogliamo il testimone e lo deponiamo ai piedi dell’altare del nostro Santo.
Non come un omaggio al passato.
Ma come una promessa di futuro.
Papa Francesco ci ha lasciati.
Ma non ci ha mai davvero abbandonati.
E non lo farà.
Perché l’amore vero non muore: resta nel cuore di chi sa custodirlo.
Grazie, Santo Padre.
Ti porteremo con noi per sempre.