"L’annuncio della morte di Papa Giovanni deve trovare nei nostri animi un’eco di profonda commozione spirituale"

Carissimi amici,

la nomina di Bergamo e Brescia a capitale della cultura per l’anno 2023 ha obbligato me e i miei collaboratori a una maggiore conoscenza dell’augusta figura di Paolo VI, Papa santo, che ha condotto in porto l’impegnativa impresa del Concilio Ecumenico Vaticano II, inaugurato dal suo predecessore, il nostro veneratissimo Papa Giovanni. Da tempo coltivo l’amicizia con il parroco di Concesio, paese natale di Paolo VI, anche per una conoscenza vicendevole dei rispettivi Papi santi, al fine di promuoverne meglio le virtù e il loro efficace magistero. E, in effetti, l’uno rimanda all’altro, e non solo a motivo del Concilio (Giovanni XXIII, per ispirazione dello Spirito Santo, lo diede alla luce, e Paolo VI, condotto dal medesimo Spirito, lo consegnò alla Chiesa come riferimento imprescindibile), ma per la stretta amicizia iniziata quando Roncalli era ancora ambasciatore per conto del Pontefice in giro per il mondo e Montini era un giovane addetto alla segreteria di Stato a servizio di Pio XII.

Numerosissime le lettere che i due santi si sono scambiati fino alla morte di Giovanni XXIII e, mentre l’anziano – ancora Patriarca a Venezia – prefigurava Montini come Pontefice, il più giovane, alla morte di Roncalli, lo piangeva come un padre, meglio, come un amico, diventatogli padre. Scorrendo l’intensa corrispondenza fra i due, mi è caduto l’occhio su una lettera del Patriarca di Venezia; siamo nel 1956 e così scrive Roncalli di Montini, allora Arcivescovo a Milano:

Due parole sole per dirle che il suo discorso di ieri in Duomo fu un capolavoro, e che merita di essere affisso in tutte le piazze d’Italia.

una stima che non ha paragoni. In risposta, l’Arcivescovo di Milano, così scrive:

Veneziani, gran Signori – dice il proverbio; ed io me ne accorgo dalla Sua cortesia a mio riguardo. Mi vorrei dire confuso, se non fossi insieme contento di sentirmi incoraggiato da paterna e sapiente bontà come la sua.

La fitta corrispondenza è piena di accenti di bene, di squisita amicizia e di sincera e reciproca stima. Un’amicizia che ha fatto bene a entrambi e ha fatto bene anche alla Chiesa. Sono convinto che è dentro questo sentimento, coltivato con volontà libera e propositi onesti, che lo Spirito ha potuto lavorare con agio e fantasia perché questi due uomini lombardi fossero i principali artefici del rinnovamento nella Chiesa con il Concilio Vaticano II. E la prova la si riscontra sempre dentro la reciproca corrispondenza e negli appunti che ognuno vergava, al termine degli incontri e dei frequenti colloqui; è proprio dentro questi appunti che possiamo ritrovare – a posteriori – la prova che il Concilio germinava già nel discorrere delle labbra e del cuore di questi due grandi apostoli, la cui amicizia era la corrente in cui lo Spirito faceva scorrere le prime scosse e i primi fremiti di una nuova Pentecoste.

Com’è vero che una vera amicizia è foriera di bellezza e di bene; ogni amicizia, ogni affetto sincero è fecondo di novità, sempre. E sono convinto che una vera amicizia è un dono dello Spirito Santo, un’opera di Dio; se infatti, come dice san Giovanni: “Dio è amore”, l’amicizia, che è una forma dell’amare, è anche l’alveo in cui abita Dio. Sant’Agostino scrive che: “Non c’è vera amicizia se non quando la annodi tu, o Signore, fra persone a te strette con il vincolo dell’amore”.

Penso all’amicizia come un imprescindibile ricostituente dello spirito, come la principale medicina contro la tentazione dello sconforto e della resa. Per chi ha fede, ancor di più: l’amicizia è “sacramento” della presenza di Dio, campo di allenamento al primato dell’altro e al dono di sé. Vita povera quella di chi non ha amici, vita feconda e sorgiva di bellezza quella accompagnata da un’amicizia fedele; e ne vale la pena domandarla come dono al Signore.

Alla morte di Papa Giovanni, il cardinale di Milano, Giovanbattista Montini, volle rivolgersi alla sua gente con queste parole:

L’annuncio della morte di Papa Giovanni deve trovare nei nostri animi un’eco di profonda commozione spirituale (…) come fratelli di tutti i credenti della terra che si sentono orfani di un incomparabile padre e maestro, come cittadini di un mondo che ha ravvisato nel Papa defunto un amico dell’umanità.

E nel decimo anniversario della scomparsa, il 3 giugno 1973, ormai diventato Papa, Paolo VI così si rivolge alla Chiesa intera:

Benediciamo la memoria di questo carissimo e veneratissimo Papa, che ha saputo riaprire a torrenti le fonti della Verità salvatrice; ha saputo ringiovanire la Chiesa con lo spirito vivificante del Vangelo; ha saputo stendere la mano ai fratelli cristiani separati sopra l’abisso di secolari rotture e rivalità; ha saputo riaprire con un nuovo accento di familiarità e di stima il dialogo con il mondo odierno secolarizzato, ed offrirgli, come pane di casa, il dono della “speranza che non inganna.

Prima ancora che parole di un Papa, sono parole di un amico. Le condividiamo in pieno, perché – in fondo – ci sentiamo tutti un po’ amici di Papa Giovanni, o meglio, sentiamo lui come nostro amico, fedele confidente, amabile consolatore nelle nostre tristezze e nelle nostre prove. Lui stesso ce lo promise, quella indimenticabile notte dell’11 ottobre 1962, quello passato alla storia come Il discorso della luna: “Il Papa è con noi specialmente nelle ore della tristezza e dell'amarezza”.

Egli ci è padre che dall’alto ci benedice, ci è amico che da vicino ci accompagna e raccoglie le nostre lacrime.

Carissimi amici, il Papa è con noi, non siamo soli.
Vi accompagno con la mia povera preghiera: chiedo a voi di fare altrettanto per me.
Grazie, Don Claudio

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