Ponti di Speranza in Terra Santa: la testimonianza di Mouna Maroun

Venerdì 11 aprile 2025, nella Chiesa Giubilare del Santuario San Giovanni XXIII di Sotto il Monte, si è tenuto il quarto incontro dei “Venerdì della Speranza”. Ospite d’eccezione è stata la Prof.ssa Mouna Maroun, rettrice dell’Università di Haifa e prima donna araba, cristiana maronita, a ricoprire un incarico di guida accademica in Israele.
Con la sua presenza, la Prof.ssa Maroun ha offerto una testimonianza vibrante sul tema: “Ponti di Speranza: il ruolo delle minoranze in Terra Santa”.
Una terra sacra e ferita
«Vengo a voi dalla Terra Santa», ha esordito la Prof.ssa Maroun. «Una terra di profondo significato spirituale per cristiani, ebrei e musulmani, ma anche un luogo segnato da divisioni, paure e conflitti antichi». Questa consapevolezza ha guidato la sua riflessione sulla necessità di costruire ponti, dando voce a chi – come le minoranze cristiane in Israele – spesso vive nell’ombra di tensioni politiche e religiose.
«Preghiamo per la pace», ha continuato, ricordando che la Terra Santa è stata la culla dell’annuncio di salvezza e di riconciliazione per tutti i popoli. Eppure, proprio lì, la storia sembra riproporre costantemente nuovi muri, nuove ferite da sanare.
Tra scienza e fede: un’identità plurale
Nata a Isfiya, villaggio sul Monte Carmelo, la Prof.ssa Maroun appartiene alla Chiesa maronita, una piccola realtà cristiana in Israele. «Siamo solo 11.000 maroniti», ha spiegato, «ma desideriamo essere segno vivo di speranza in una terra in cui tutti – ebrei, musulmani, cristiani – spesso faticano a comprendersi».
Il suo percorso umano e professionale è straordinario: pur cresciuta in una famiglia semplice, con genitori che non hanno avuto accesso a un’istruzione superiore, ha conseguito il dottorato in psicobiologia e intrapreso una brillante carriera accademica. «Ho scelto di non abbandonare la psicologia, ma di comprenderla attraverso la neurobiologia. Così ho trovato la mia strada e la mia vocazione alla ricerca».
La nomina a rettrice dell’Università di Haifa è arrivata l’11 aprile di un anno fa, una data che in questo 2025 coincide con il 62° anniversario della Pacem in terris di Papa Giovanni XXIII. Un giorno simbolico, che la Prof.ssa Maroun ha definito un vero e proprio «miracolo»: «Essere donna, araba e cristiana maronita non mi ha impedito di accedere a un incarico di grande responsabilità. È segno che, nonostante le tensioni, esiste la volontà di dialogare e di integrare le differenze».
La sfida dell’integrazione e l’urgenza del dialogo
Durante l’incontro, la Prof.ssa Maroun ha sottolineato quanto sia fondamentale avviare percorsi educativi e linguistici capaci di superare le barriere culturali e religiose già dall’infanzia. «In Israele, scuole ebraiche e scuole arabe faticano a comunicare fra loro: i ragazzi crescono ignorandosi a vicenda. All’università proviamo a invertire questa rotta, creando laboratori comuni dove lo studio diventi incontro, dove le parole “arabo” ed “ebreo” non indichino estraneità ma vicinanza».
Nell’attuale clima di conflitto – acutizzatosi dopo i drammatici eventi del 7 ottobre – il suo impegno di rettrice si è fatto ancor più gravoso: «È difficile promuovere pace e convivenza quando i tuoi studenti vivono nello smarrimento, alcuni chiamati al servizio militare, altri preoccupati per le famiglie a Gaza. Ma l’università deve osare il dialogo, anche quando la politica non ascolta».
La forza della fede e la testimonianza della comunità maronita
Uno dei passaggi più toccanti della serata è stato il riferimento alla fede cristiana come radice profonda di speranza. «I miei genitori non potevano regalarmi ricchezze, ma mi hanno donato due tesori: la fede nella nostra Chiesa e l’importanza dell’educazione», ha raccontato.
La Prof.ssa Maroun ha parlato con passione della Chiesa maronita in Terra Santa, del rinnovato desiderio dei giovani di ritornare alla preghiera e di frequentare le celebrazioni: «Non possiamo permettere che la Terra Santa rimanga senza cristiani. Senza di noi, smetterebbe di essere davvero casa di tutti». Ha mostrato anche la vitalità della sua parrocchia, in cui ogni 22 del mese la chiesa si riempie di persone di ogni età, attratte dalla devozione a San Charbel e dalla gioia di ritrovarsi a pregare insieme, anche in mezzo alle sirene che annunciano i razzi.
Pacem in terris: un anniversario che interpella
L’11 aprile 1963 veniva pubblicata l’enciclica Pacem in terris, scritta da Papa Giovanni XXIII con parole semplici e universali, rivolte a «tutti gli uomini di buona volontà». In questa ricorrenza, la presenza della Prof.ssa Maroun al Santuario di Sotto il Monte ha acquistato un valore tutto speciale: un messaggio vivo di quanto la speranza cristiana – unita al coraggio della scienza e dello studio – possa diventare motore di inclusione e dialogo.
«La Chiesa cattolica», ha concluso la Prof.ssa Maroun, «può giocare un ruolo chiave nell’incoraggiare la riconciliazione. Non basta parlare di pace, bisogna agire come costruttori di ponti. E la speranza autentica ci spinge a farlo».

Un invito alla preghiera e all’azione
Come in ogni appuntamento dei “Venerdì della Speranza”, la serata non è stata solo occasione di ascolto ma anche di rinnovato impegno. La testimonianza della Prof.ssa Maroun ci ricorda che la speranza cristiana, radicata nel cuore e alimentata dalla fede, diventa forza capace di trasformare relazioni e abbattere barriere.
«Pregate per noi, pregate per la Terra Santa», è stato l’appello finale della relatrice. «E noi, da Haifa, non smetteremo di pregare per voi. Solo insieme, con la grazia di Dio, potremo costruire quei ponti di speranza di cui il mondo ha tanto bisogno».
L’incontro si è concluso con un ringraziamento sincero alla Prof.ssa Maroun e con l’invito a continuare il cammino dei “Venerdì della Speranza” verso la commemorazione del 62° anniversario della morte di Papa Giovanni XXIII, il prossimo 3 giugno 2025, data in cui il Cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, presiederà la celebrazione nel Santuario di Sotto il Monte. Un percorso che, come la stessa Prof.ssa Maroun ha sottolineato, ci invita a custodire e testimoniare il seme della riconciliazione nel mondo.
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