«Avevamo bisogno di pregare per sentirci uniti a Colui che mai abbandona e che insegna a sperare sempre.»

So bene che la benedizione di Dio scende su tutto il mondo, e su tutti gli uomini, al di là dell'altezza o della posizione da cui l'invocazione viene elevata.

So bene che la preghiera è dono dello Spirito e non un prodotto degli uomini.

So bene che non si prega, nemmeno davanti alle reliquie più insigni, per strappare una grazia al Signore.

La preghiera non è una delicata azione di compravendita e nemmeno un atto di educata sudditanza per cui Dio concederebbe quanto richiesto se impietosito da gesti clamorosi o particolarmente strazianti. No. La preghiera è apertura a Dio, è credere che Lui possa essere la tua verità, al di là della condizione che stai vivendo, o meglio, proprio nella condizione che stai affrontando, fosse anche il dolore lancinante.

Queste premesse sono doverose. Altrimenti non si capirebbe quello che con don Claudio abbiamo vissuto un anno fa, proprio come oggi. Era domenica e celebrammo la S. Messa in solitudine. Davanti a noi non c'era nessuno, eppure sapevamo che con noi c'erano tante, tante persone, che da giorni ci chiedevano di pregare con loro. Fuori l'epidemia avanzava implacabile; erano i giorni dello smarrimento, del grande sconforto. L'amata Bergamo soffriva terribilmente: ospedali pieni, famiglie nel dolore, il numero dei morti che aumentava di ora in ora. Si faticava a respirare. La primavera incipiente veniva smentita dal clima reale delle nostre case e delle nostre strade. Dopo la celebrazione, decidemmo di elevare a Dio una supplica speciale. Sentivamo di doverci rendere presenti a chi, lontano o vicino, scriveva a Sotto il Monte chiedendo una preghiera al papa, al "nostro papa" (così riportavano i messaggi). Pensammo allora di salire in alto. Sul campanile. Da lì pregammo il Signore e, con l'antica orazione dell'Angelus, invocammo la Madonna. Poche parole; quelle della preghiera semplice e familiare. Quella preghiera che non ha bisogno di troppa concentrazione ma che esce naturalmente dal cuore quando ci si trova in vera necessità, la necessità che ti fa esclamare: Signore, salvaci! Invocammo papa Giovanni - qualche giorno dopo anche il nostro vescovo lo avrebbe fatto dal Giardino della Pace - e benedicemmo il nostro paese e idealmente tutto il Paese.

Perché dal campanile? Perché si vede da lontano. Quando non sai dove ti trovi, basta guardare in su e dal campanile che hai davanti capisci dove sei, dove stai andando.

I campanili aiutano a non smarrirti, quando le strade di questa terra si fanno incerte, e indicano a chi è in cerca di Dio che Egli non è lontano, perché una chiesa è ormai prossima, una "fontana del villaggio", come amava dire papa Roncalli, è pronta a dissetarti. Tutto questo solo se sei disposto ad alzare lo sguardo, a sollevarti da terra e a dare spazio al cielo.

Ma i campanili sono anche una voce: quella che, in una comunità, proclama la vita dei fratelli ad altri fratelli. Dal battesimo alla morte, una campana ti accompagna, una musica ti fa strada, unendoti alla vita di tante altre persone, superando ogni distanza e travalicando ogni limite. Il suono di una campana infatti si diffonde in lungo e in largo, non è proprietà privata di qualcuno. Come il vento, esso va dove vuole e raggiunge tutti, anche i più distratti, così che la vita degli altri ci entra dentro anche se inconsapevolmente.

Il campanile insegna a guardare in alto e ad ascoltare che sono gli atteggiamenti fondamentali di ogni preghiera.

Io e don Claudio, a mezzogiorno di domenica 15 marzo 2020, siamo saliti in alto non per un gesto estremo, ma perché avevamo bisogno di alzarci da terra, di guardare il mondo da un'altra prospettiva, di prendere fiato e di sentirci uniti a tanti, a tutti, sebbene a distanza. Volevamo dare voce e ascoltare voci. Avevamo bisogno di pregare per sentirci uniti a Colui che mai abbandona e che insegna a sperare sempre. Lo abbiamo fatto dal nostro campanile, dalla "fontana" spirituale che è Sotto il Monte, perché dovevamo farlo, perché era il momento di testimoniare, con San Giovanni XXIII, di essere un'unica famiglia in preghiera per tutti, ovunque si trovassero.

don Leonardo Zenoni

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