Solennità di San Giovanni XXIII: "Invochiamo questa pace e meritiamola"
Con la messa alle 7 del mattino a Ca’ Maitino, la casa di Papa Giovanni, è iniziata la Settimana giovannea, il cui culmine sarà – come sempre – la solenne celebrazione eucaristica presieduta dal Vescovo di Bergamo, l’11 di ottobre, festa liturgica di San Giovanni XXIII. La piccola cappella nella quale ogni anno il Vescovo Roncalli, poi cardinale, ha celebrato la messa nei suoi soggiorni sottomontesi e in cui anche il suo segretario particolare, il Cardinale Loris Francesco Capovilla, lo ha fatto ogni giorno per quasi venticinque anni fino alla sua morte, era piena di gente. Una cappella piccola, ma sufficiente per una cinquantina di persone, se si considerano anche quelle che seguivano dalla sala attigua.
Al termine della messa, commossi, ci siamo volti verso la statua della Vergine Maria, a grandezza naturale, che Papa Giovanni teneva nella sua cappella privata in Vaticano. Una statua che ha assistito alla preghiera quotidiana di Papa Giovanni, davanti alla quale Egli soleva pregare il Santo Rosario. E proprio di fronte a lei – lo sappiamo per la testimonianza oculare del nipote, Mons. Battista Roncalli, presente in quel frangente – Papa Giovanni ha pregato il Rosario in una lunga notte dell’ottobre del 1962 per scongiurare un conflitto nucleare dovuto alla cosiddetta “Crisi di Cuba”; riteniamo che quella preghiera intensa durata un’intera notte abbia contribuito in maniera determinante alla soluzione della crisi. Ecco, ci è venuto spontaneo rivolgere lo sguardo e la preghiera a quella Madonna, per affidarLe le sorti del mondo in questo momento così difficile a motivo particolarmente della crisi in Medioriente. E sentire che Papa Giovanni ci invitava a intensificare la nostra preghiera, a fidarci della potenza della preghiera e della promessa che Gesù stesso ha fatto ai suoi discepoli, che il Padre non sarebbe stato indifferente alle loro suppliche.
Mi pare dunque che la festa di San Giovanni XXIII, quest’anno in modo particolare, non possa che caratterizzarsi per una continua supplica per la pace. Su di una parete nella Cripta del Santuario ci sono queste parole del Vescovo Roncalli, delegato del Papa in Turchia: “É questa l'ora dei grandi sacrifici. Nel sacrificio di ciascuno c’è il mistero della pace che il mondo aspetta e che ciascuno deve saper meritare, per sé e per tutto il mondo. Invochiamo questa pace e meritiamola”. (Lettera alle Figlie del S. Cuore: Istanbul, 30 agosto 1940.) La pace, nelle parole di Roncalli, appare come qualcosa anche da meritare, frutto anche di sacrificio. A me pare che sia un compito, una vocazione chiara dei cristiani da sempre, ma oggi ancora di più, quella di intensificare la preghiera per la pace. La pace non può essere soltanto un argomento di discussione, o un sostantivo esibito nelle pur utili manifestazioni. Abbiamo capito che l'uomo - da solo - non è in grado di costruire la pace, nemmeno di pianificarla e forse neanche di desiderarla fino in fondo: soltanto lo Spirito Santo può compiere il miracolo di condurci sui sentieri del perdono, della compassione reciproca, della fraternità universale. Ecco perché noi cristiani abbiamo una vocazione chiara, alla quale non possiamo sottrarci, pena il divieto di riempirci la bocca della parola pace, se davvero non facciamo la nostra parte di credenti. Perché qui non è in gioco soltanto l'uomo buono, con i suoi sentimenti di bene, ma è in gioco l'uomo credente, che affida, nella fede, al Padre di ogni uomo, di suscitare profeti, uomini di misericordia e una visione profondamente nuova del mondo e dell'umanità; ammettendo senza timore l'attestazione del fallimento delle sole logiche umane, aprendoci così alla potente azione dello Spirito, che fa nuove tutte le cose. Chiedendo anche a San Giovanni XXIII un po' della sua fiducia nella Provvidenza che, con semplicità, affidava a Lei ogni preoccupazione, con la speranza e la certezza che Dio avrebbe fatto la sua parte.
Ascoltiamolo, diamogli retta, e dunque “Invochiamo questa pace e meritiamola”.
don Claudio Dolcini